
C’è una foto che sembra racchiudere un intero modo di abitare il mondo. Un uomo seduto tra le vette, il bastone da escursionismo poggiato accanto, lo sguardo perduto verso l’infinito. Attorno a lui, solo silenzio, cielo e pietra. Non è un pellegrino qualunque, ma il Papa. Giovanni Paolo II ha saputo fare della montagna il proprio altare, il proprio rifugio, il proprio esercizio spirituale.
Molto prima di indossare l’abito pontificio, Karol Wojtyła aveva già scoperto la montagna come luogo di forza e raccoglimento. Nei monti Tatra, in Polonia, si formava il giovane sacerdote: lì allenava il corpo e lo spirito, camminando, sciando, contemplando. Era un’educazione silenziosa alla resistenza, alla preghiera, all’ascolto di ciò che non ha parole. Sale più volte in funivia al Kasprowy Wierch, in auto al Morskie Oko, il lago più amato della Polonia, e nella valle di Chocholowska, dove imparò a vivere la fatica come via di profondità e di preghiera.
L’alpinista dello spirito
Il soprannome “Atleta di Dio” non è una forzatura giornalistica. Wojtyła aveva una relazione autentica con la fatica fisica, vissuta non come ostacolo ma come via di profondità. Non era raro trovarlo sui sentieri, spesso senza scorta, immerso nella meditazione più che nei panorami. La montagna, per lui, non era decorativa: era un sacramento naturale.
Quando divenne Papa, non rinunciò a questa dimensione. Anzi, la rese parte integrante del suo ministero. Campo Felice, il Gran Sasso, l’Adamello, le Dolomiti, le valli valdostane: sono solo alcuni dei luoghi dove continuò a salire, sempre cercando il silenzio e la semplicità.
Nel 1984, sul ghiacciaio della Vedretta della Lobbia, sciò in compagnia del presidente Pertini dopo aver raggiunto il Rifugio Caduti dell’Adamello. In quell’occasione benedisse una croce su una cima oggi a lui dedicata. Nel 1979, durante una visita alle Dolomiti, consacrò la statua della Regina delle Dolomiti sulla Marmolada, un gesto simbolico che sanciva il legame tra la fede e le vette alpine.
Un’esperienza spirituale radicata nella natura
Per Giovanni Paolo II, il contatto con la natura non era evasione, ma immersione: un ritorno all’essenziale. Il silenzio del bosco, la fatica di una salita, la neve che cade lenta erano per lui elementi di un linguaggio spirituale. La montagna diventava spazio di preghiera non costruita, un dialogo autentico tra l’essere umano e il creato.
In questi luoghi alti e incontaminati, ritrovava un ordine superiore, una forma di bellezza che non aveva bisogno di spiegazioni. La sua spiritualità non era astratta: passava attraverso il corpo, il respiro, lo sguardo rivolto al cielo. Camminare era, per lui, un modo per custodire il senso della vita e della vocazione.
Disse una volta:
“Qui il silenzio della montagna ed il candore delle nevi ci parlano di Dio e ci additano la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita ed i reciproci rapporti.”
(Angelus, Campo Imperatore, Gran Sasso, 1993)
Sentieri e cime come tracce di un’eredità viva
Le montagne che amava non hanno dimenticato il suo passaggio. Oggi si possono seguire i “Sentieri del Papa” tra il Rifugio Lunelli e il Monte Peralba, oppure camminare lungo il Sentiero Giovanni Paolo II a Oropa, dove ogni tappa è scandita da pensieri spirituali. C’è anche una vetta nelle Orobie che porta il suo nome, con una croce commemorativa a 2.230 metri.
A Campo Felice, una pista da sci gli è stata dedicata. A Lorenzago di Cadore, nei boschi dietro la residenza estiva, sorge un santuario all’aperto nato come luogo di memoria e meditazione. È come se la sua presenza continuasse a indicare un cammino, una direzione.
Ogni luogo intitolato a lui non è solo celebrazione, ma invito: a salire, a respirare, a mettersi in ascolto.
Testimonianze che sanno di vita vissuta
Lino Zani, guida e alpinista, ha accompagnato Giovanni Paolo II per oltre vent’anni. I suoi racconti descrivono un uomo capace di ridere, di fermarsi a leggere un passo di Pascal sotto una betulla, di celebrare una Messa con la neve fino alle ginocchia. Le loro escursioni erano sempre sobrie, mai plateali, eppure intensamente cariche di senso.
Anche nei luoghi più isolati, il Papa trovava compagnia: quella di Dio, del vento, delle rocce. Camminava lentamente, spesso in silenzio, come se ogni passo fosse una preghiera che nasce dal profondo.
Giovanni Paolo II e Francesco: due modi diversi di abitare la Terra
La montagna non è mai stata, per Giovanni Paolo II, un palcoscenico. È stata piuttosto uno specchio, un rifugio, un laboratorio dell’anima. Lì, dove il rumore si dissolve e resta solo l’essenziale, ha continuato a cercare Dio e a trovarlo.
Chi oggi percorre quei sentieri, magari senza conoscerne la storia, calpesta le stesse pietre e respira la stessa aria che furono suoi compagni di viaggio. Forse, in un giorno di sole o tra le nebbie del mattino, potrà sentirne ancora l’eco: un invito a rallentare, ad ascoltare, a salire.
In questi giorni, la Chiesa piange la scomparsa di Papa Francesco. Diverso per temperamento e sensibilità, ha lasciato un’impronta altrettanto profonda, scegliendo di abitare la “periferia” del mondo e di parlare ai cuori con l’enciclica Laudato si’, un inno alla custodia della Terra e alla giustizia sociale. Dove Wojtyła cercava Dio nel silenzio delle vette, Francesco l’ha cercato nelle grida del mondo e nella cura della nostra casa comune. Due modi diversi di camminare nel creato, un’unica fede nella bellezza e nella sacralità della vita.
Sentieri sulle orme del Papa
Chi desidera camminare seguendo, anche fisicamente, le orme di Giovanni Paolo II può percorrere alcuni sentieri oggi a lui dedicati, veri e propri luoghi della memoria.
Il Sentiero Giovanni Paolo II a Oropa (Biella) collega il Santuario mariano al Sentiero Frassati tra faggete e pascoli, seguendo stazioni della Via Crucis in bronzo e pensieri spirituali disseminati lungo il cammino.
Nelle Dolomiti del Cadore e in Val Comelico, i “Sentieri del Papa” attraversano rifugi e cime frequentate da Wojtyła, come il Monte Peralba e la Cima Colesei, offrendo panorami e silenzi che parlano ancora di raccoglimento.
Chi ama le Orobie può salire ai 2.230 metri della Cima Papa Giovanni Paolo II, in Val Brembana: una croce commemorativa e una vista aperta rendono questa vetta un luogo di memoria e contemplazione.

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